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5 righe sui proiettori

I proiettori

il proiettore, human design, parole chiave proiettore
Ho visto conosciuto interagito con molti proiettori, con diverse autorità interiori (o anche con autorità esterna); da linea 3 ho visto tutto il non sè.
Ho visto proiettori con la gola non collegata a nessun motore, pistoleri verbali senza sosta, ho visto manipolatori compulsivi, ho visto proiettori saltellare il più in alto possibile per farsi notare, lavorare il quadruplo del necessario come se fossero super energetici per dimostrare il proprio valore, o per dimostrare di essere altruisti (con ego definito), o tentare di guidare l'altro non solo senza essere invitati a farlo, ma prima che finisse mezza frase....


La cosa che noto più spesso e più facilmente è il fastidio che crea un proiettore quando tenta di guidare chicchessia senza essere invitato. Sento proprio a pelle la scarica elettrica che mandano e l’effetto che ha sull’altro al momento. Le risposte diventano: “che caspita vuole questo, ma che sta dicendo, ma chi lo ha cercato, perchè non sta al posto suo??”.


Quando si entra come elefanti in una conversazione o nel fare di un altro, si percepisce un’invasione che fa letteralmente saltare i nervi, e la risposta può essere un bel silenzio, una rispostaccia, una risposta pseudo-gentile, ma la sensazione che si lascia è sempre costantemente di fastidio e di repulsione.


E come mai quello non mi chiama più o non si fa sentire????


È una cicatrice, una coltellata verbale che difficilmente viene dimenticata, a prescindere dal tipo di relazione che si ha con l’altro. Uno schiaffo si dimentica, può essere restituito e siamo pari. Ma una parola invadente non ha possibilità di correzione. È scritta su pietra.


Non so come dire esattamente, ma la stessa invadenza che potrebbe fare un generatore non crea lo stesso fastidio di quella di un proiettore (i canali proiettati li hanno in molti, ma la chimica e l'aura sono diverse). È così. Meccanico posso dire.


Un’aura che si sente, ti taglia, e poi? “Poi con quello evito di parlare, è talmente penetrante, pesante, che, mamma mia, andiamo a divertirci altrove!”.


Attenzione a quando si apre bocca, mordersi la lingua due o tre volte prima di esprimere qualsiasi santa verbalizzazione ci passi per la mente in quel momento.


Allora mi dico: e io come me la gioco tutti i giorni, ogni momento, ogni telefonata, ogni interazione?


Le uniche cose corrette, nel modo corretto, nel senso che non hanno creato resistenze o fastidi, le ho espresse non al momento, ma magari dopo giorni o anni da un certo evento.

Perdere l’occasione per parlare? Se si è persa e non ricapita, allora sicuramente non era l’occasione. Se ricapita, allora quello che avevo da dire è ancora buono e non è andato certo a male. Anzi: “ah, ti ricordi di quello che dicevo il mese scorso? wow , nessuno ricorda quello che dico, anzi, nessuno manco ci riflette. Grazie che mi hai detto questo, mi fa proprio piacere”. Il gusto dolce del successo. E poi posso andare via, non contento per il riconoscimento, ma perchè sto imparando ad usare questo veicolo, finally! Contento per me. Per te? Boh, magari non ti vedo più, com’è che ti chiami? Ah sì, sai, io coi nomi…..!


E la coltellata non è più un colpo, ma uno stimolo che fa crescere una cosa nuova da qualche parte, che non vedrò mai crescere, ma so che c’è. Per me.

Chi sia l’altro corretto per ME in questa circostanza: chi sei tu, chi sei tu ora, senza aspettative, senza voler manipolare: o ci si allena a fare questo esercizio in meno di mezzo secondo, oppure la mente prende il sopravvento e si ricomincia con i propri clichè relazionali, che per quanto ci facciano schifo, che sarà mai: tanto ci siamo abituati, è sempre stato così, è colpa loro in fondo che non si vogliono far guidare, non sanno cosa si perdono, qui c’è la santità che cammina sulle acque. E si continua a boccheggiare invece che vivere…

un abbraccio

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